Nel Mediterraneo e non solo, il mese di luglio è stato denso di eventi climatici estremi: ondate di calore terrestri e marine, precipitazioni violente al nord e vasti incendi. Non a caso, soprattutto dopo l’intervento di Giorgia Vasaperna al Giffoni film festival davanti al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (rimandiamo alla newsletter di Nicolas Lozito, Il colore verde, per approfondire), si è parlato molto di eco-ansia. Nell’ultima Lapilli+, quando ancora non avevamo idea che luglio si sarebbe rivelato il mese forse più caldo a livello globale da quando si hanno dati disponibili, ne abbiamo scritto anche noi. Ma per non fomentare ulteriormente l’eco-ansia, e come suggerito da oltre cento scienziati italiani in questa lettera aperta, in questo numero di Lapilli parliamo anche di soluzioni: accorgimenti architettonici per affrontare il caldo e il ripristino di antichi canali per gestire al meglio la poca acqua disponibile in Andalusia. Come sempre, buona lettura!

Un luglio rovente. Nel mese di luglio, ondate di calore hanno interessato l’intero bacino mediterraneo, dalla Spagna ad Algeria e Tunisia, senza risparmiare Italia e Grecia - con 47 gradi centigradi registrati a Palermo e Olbia, e l’acropoli di Atene chiusa per qualche ora. Ma il fenomeno non ha riguardato solo il Mediterraneo. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale infatti, luglio si appresta a diventare il mese più caldo mai registrato a livello globale (The Washington Post).

Questa immagine utilizza i dati del satellite Sentinel-3 del programma europeo Copernicus per mostrare la temperatura della superficie terrestre nell’Europa meridionale, in parti del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale al 17 luglio 2023. In evidenza sono riportate le temperature del suolo, non dell'aria, che a Foggia, Catania e Nicosia hanno toccato i 50°C (Elaborazione Esa - Agenzia spaziale europea).

Ondate di calore intense hanno interessato anche il mar Mediterraneo centrale. A fine luglio, tra Italia, Grecia, Algeria e Tunisia, le acque superficiali hanno raggiunto temperature fino a 5,5 gradi Celsius al di sopra delle medie stagionali, come mostra l’elaborazione effettuata dal programma di osservazione della Terra dell'Unione europea Copernicus riportata sotto. In particolare, il 24 luglio la temperatura superficiale media del mar Mediterraneo ha raggiunto 28,4°C, la più alta mai registrata, superando il record del 2003, con probabili ripercussioni su ecosistemi ed economie locali. Temperature così alte infatti portano alla morte di numerose specie marine (coralli, spugne e alghe) e influiscono negativamente sulla pesca, l’acquacoltura e gli allevamenti di mitili (Fanpage). Come abbiamo avuto modo di illustrare più volte nei nostri Lapilli, l'aumento delle temperature lascia inoltre la strada spianata a specie ad affinità tropicale provenienti dal mar Rosso e dall’oceano Indiano, che attraversato il canale di Suez si stabiliscono nel Mediterraneo.

Le temperature record che hanno colpito l'Europa a luglio hanno contribuito all'aumento della temperatura superficiale del mar Mediterraneo. Questa visualizzazione mostra la situazione al 24 luglio 2023: un'anomalia fino a +5,5°C sopra la media stagionale lungo le coste di Italia, Grecia e Nord Africa (Servizio marino di Copernicus).

Precipitazioni estreme al nord. Come in una sorta di contrappasso, nel nord Italia e in alcune parti della Svizzera si sono verificate precipitazioni estreme con grandinate e venti molto forti dovute allo scontro tra masse di aria calda e fredda (Green & Blue). In particolare, nella notte tra il 24 e il 25 luglio, una perturbazione con venti anche di 100 chilometri orari ha colpito Lombardia, Veneto, ed Emilia Romagna, a pochi giorni di distanza da altre che hanno interessato anche Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. A Milano, la forza del vento ha creato molti danni e divelto centinaia di alberi (Il Post).

Incendi al sud. In contemporanea al sud, temperature persistenti intorno o sopra i 40 gradi e forti venti hanno creato le condizioni ideali per la propagazione degli incendi, spesso di origine dolosa, ma difficilmente controllabili per via delle condizioni ambientali. In Sicilia, ma anche in Calabria, Puglia e Sardegna, ettari di boschi, campi e vegetazione hanno bruciato per giorni: oltre 31mila ettari tra il 25 e il 27 luglio, un’area paragonabile alla superficie occupata dalla città di Dublino. Per capire la quantità e l’estensione degli incendi basta guardare due mappe ripubblicate da Il Post ed elaborate dal Sistema europeo d’informazione sugli incendi boschivi (Effis, dall’inglese). In Sicilia, le fiamme sono arrivate a lambire l’aeroporto e le case intorno a Palermo e si sono spinte fino a pochi metri dal tempio dorico di Segesta, uno dei siti patrimonio dell’Unesco dell’isola e tra i templi greci più spettacolari al mondo (Repubblica).

La città di Palermo in una rilevazione satellitare del 26 luglio scorso: le aree marrone scuro indicano le superfici bruciate dai roghi (Dati di Copernicus rielaborati dall’Esa).

In Grecia, incendi di grosse proporzioni sono scoppiati a Corfù, in Attica e a Rodi (Bbc), costringendo migliaia di persone a evacuare spiagge, paesini e strutture turistiche. La regione dell’Attica, intorno ad Atene, già più volte colpita da incendi negli anni passati, potrebbe rischiare il collasso ambientale (Kathimerini). Grossi roghi sono stati registrati anche in Nordafrica, soprattutto in Algeria, dove hanno causato morti e sfollati (Al Jazeera).

Il ruolo del cambiamento climatico. Con grande tempestività, la World weather attribution, un’iniziativa di scienziati che si occupa di stabilire l’influenza della crisi climatica sugli eventi meteorologici mondiali, ha analizzato le ondate di calore che a inizio luglio hanno interessato il Mediterraneo, Stati Uniti e Cina. I risultati sono stati pubblicati in uno studio. Secondo i ricercatori, le ondate di calore sono diventate molto più frequenti per via delle emissioni rilasciate in eccesso in atmosfera dalle attività antropiche. Senza le emissioni derivanti dalla combustione di fonti fossili, eventi di questo tipo sarebbero molto rari se non addirittura impossibili nell’Europa meridionale, mentre ai livelli di emissioni attuali gli scienziati calcolano un tempo di ritorno di dieci anni circa.

Le sfide legate all’adattamento. Il New York Times sottolinea come i paesi e in particolare le città europee non abbiano fatto molto dalla storica estate del 2003 per adattarsi alle sempre più frequenti ondate di calore estive, capaci di lasciarsi indietro anche decine di migliaia di morti: 61mila solo nel 2022, secondo un recente studio. Che le città italiane saranno sempre più esposte a prolungate ondate di calore lo dice anche una mappa interattiva del Servizio sui cambiamenti climatici di Copernicus, secondo la quale a Roma, nel 2080, potrebbero esserci tra 28 e 60 giorni di caldo intenso, a seconda dell’andamento delle emissioni da qui a fine secolo. Del tema se ne è occupato anche il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici che nel 2021 ha pubblicato un rapporto analizzando i rischi e le misure da adottare per sei città italiane (Nature Italy).

I viaggiatori intanto prendono nota. Secondo la Commissione europea per i viaggi (European travel commission, in inglese), un’organizzazione nonprofit che si occupa di promuovere il turismo in Europa, le destinazioni più a nord come Danimarca, Irlanda, Repubblica Ceca e Bulgaria, stanno registrando sempre più interesse da parte dei viaggiatori, a discapito delle mete del sud europeo sempre più invivibili d'estate (Reuters). Proprio al turismo e ai viaggi sarà dedicata la prossima Lapilli+ (puoi iscriverti qui).

Eco-ansia. Nell’ultima Lapilli+ abbiamo parlato invece di eco-ansia e delle emozioni che l’ambiente e il cambiamento climatico suscitano in noi. Visto quanto accaduto nel Mediterraneo nel mese appena passato, riportiamo qualche frase della giornalista ambientale Irene Baños, autrice di un libro sull'essere eco-ansiosi, sperando offrano qualche spunto per non lasciarsi sopraffare dall’eco-ansia. “Anche se non riusciamo a mitigare la crisi climatica e superiamo tutti i livelli di temperatura che non dovremmo superare - ci ha detto Baños -, dobbiamo comunque lavorare sul nostro futuro, su un futuro vivibile e su un futuro il più possibile positivo. Superare o trasformare l'eco-ansia in azione ci permette di adattarci, creare e costruire le basi del nuovo mondo in cui vogliamo vivere”. L’invito è dunque a “concentrarci su ciò che può ancora essere salvato e su ciò che possiamo ancora cambiare” (Lapilli+).

Architettura che rinfresca. Se da un lato è vero che i fenomeni a cui stiamo assistendo sono fuori dalla norma, è anche vero che i popoli del mondo da sempre convivono con temperature elevate e nel corso dei secoli hanno sviluppato architetture adatte a climi molto caldi. In epoca più recente ci siamo poi affidati alle nuove tecnologie, come l’aria condizionata, e abbiamo costruito edifici che, senza impianti di raffreddamento, sarebbero invivibili, con facciate di vetro e finestre a tutt’altezza. Secondo un rapporto della World Bank del 2019, i condizionatori e in generale gli impianti di refrigerazione generano circa il 10 per cento delle emissioni di gas serra responsabili dell’aumento delle temperature. Sostanzialmente è un cane che si morde la coda: per stare al fresco dentro aumentiamo la temperatura fuori. Sempre di più, antiche tecniche per raffreddare gli edifici senza usare energia generata da combustibili fossili stanno tornando di moda o sono fonte di ispirazione per gli architetti, come le torri del vento iraniane che sfruttano le correnti di aria che si generano intorno a un edificio per raffreddarlo (The Guardian).

Di modi e tecniche costruttive per convivere con il caldo senza accendere il condizionatore ce ne sono molti e a volte insapettati: le mashrabiye nordafricane, eleganti grate in legno che fanno entrare l’aria ma non la luce; colorare di bianco gli edifici (vedi Grecia, sud Italia, Marocco, etc); indossare vestiti di fibre naturali larghi e di colore nero (pare siano più efficaci di pantalonici ed equivalenti vestiti bianchi) come fanno i beduini nel deserto; costruire edifici con spessi muri di pietra, finestre piccole e cortili interni (AJ+).

Tecniche di irrigazione antiche. In Andalusia invece stanno riscoprendo i sistemi di irrigazione costruiti dagli arabi oltre un millennio fa per gestire meglio le poche risorse idriche disponibili e lottare contro una desertificazione sempre più pressante (The New York Times).

Prove di salvataggio del delta dell’Ebro. Sempre in Spagna, il delta del terzo fiume del Mediterraneo sta affrontando una miriade di minacce legate alla gestione delle acque e al cambiamento climatico: innalzamento del livello del mare, erosione dovuta alle violente perturbazioni, salinizzazione, etc. In certe zone, i ricercatori stimano una perdita di cinque metri di costa l’anno. Per fronteggiarla, il governo vuole fare degli interventi di ripascimento, trasportando sabbia nei tratti più esposti; ma c'è la consapevolezza che non può essere una soluzione a lungo termine (Mongabay).

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GUGLIELMO MATTIOLI
Producer multimediale, ha contribuito a progetti innovativi usando realtà virtuale, fotogrammetria e live video per il New York Times. In una vita passata faceva l’architetto e molte delle storie che produce oggi riguardano l’ambiente costruito e il design. Ha collaborato con testate come The New York Times, The Guardian e National Geographic. Vive e lavora a New York da quasi 10 anni.