La newsletter di questo mese si può sintetizzare con tre parole chiave: caldo, acqua e vita marina. Con quest’ultima ci riferiamo soprattutto alla foca monaca mediterranea, gli zifi e i capidogli che, come leggerai in seguito, sono tra i protagonisti di alcuni degli spunti che abbiamo raccolto. Caldo perché, oltre a dare qualche anticipazione sulle temperature dell’estate ormai alle porte, ci soffermiamo su una recente ondata di calore che potrebbe avere infierito sulle già drammatiche condizioni umanitarie nella Striscia di Gaza; ma anche caldo come il fuoco dei mega incendi che negli ultimi anni hanno colpito la regione mediterranea. Parliamo poi di acqua (poca) tornando sulla grave siccità che non dà tregua all'Italia meridionale, alla Sicilia in particolar modo. E non solo. Secondo un recente studio ci sono almeno cinque aree del Mediterraneo in cui la domanda di acqua supera la disponibilità idrica. Inoltre, alcuni corpi idrici, come il lago di Vico nell'Italia centrale e il mar Menor in Spagna, stanno soffocando a causa dell'uso eccessivo di fertilizzanti. Per lasciarti comunque con una nota positiva, abbiamo incluso un video che racconta di un'iniziativa che parte dalla Croazia volta a preservare la vita marina. Come sempre, ci auguriamo che questa newsletter ti piaccia tanto da condividerla con amici, parenti e colleghi. E visto l’imminente appuntamento elettorale, speriamo che questi Lapilli offrano occasioni di riflessione da tenere presenti al momento del voto. Buona lettura!
L’estate che verrà. I modelli parlano chiaro: in Europa, la regione del mondo che si sta scaldando più velocemente per via del cambiamento climatico, l’estate sarà estremamente calda come da molte estati a questa parte. Gli esperti intervistati dal New York Times dicono che il peggio avverrà verso fine luglio e agosto, specialmente in Croazia, Italia e Grecia. E proprio Atene da qualche anno ha nominato un chief heat officer, ovvero un responsabile dei rischi legati al caldo. Questo incarico è stato affidato a Elissavet Bargianni, che ha il compito di coordinare le misure per prevenire i disagi e le morti da caldo estremo, soprattutto delle popolazioni più deboli come bambini e anziani. Intervistata da Euronews, poco dopo la sua nomina nel 2021, Bargianni ha spiegato che in futuro questi fenomeni saranno sempre più ricorrenti, che bisogna prepararsi e fare tutto il possibile per ridisegnare le città, che si scaldano più di altri luoghi per via dell’effetto isola di calore urbano, rendendole il più fresche e vivibili possibile.
Per avere un'idea dell’accelerazione dell’innalzamento delle temperature, basta pensare che l’estate 2022 è stata l’estate più calda in Europa da quando si registrano le temperature e quella del 2023 la più calda degli ultimi 2mila anni nell’emisfero boreale, secondo uno studio che ha ricavato questo dato dagli anelli degli alberi con più di 2mila anni (Scientific American).
Continua la siccità in Sicilia. Ne abbiamo già parlato in precedenti Lapilli, purtroppo la siccità in Sicilia continua e a sentirne gli effetti sono anche gli allevatori di bestiame. Manca il fieno. Campi e pascoli sono secchi, soprattutto all’interno della regione. Coldiretti, Consorzi agrari d’Italia, Bonifiche ferraresi, Associazione italiana allevatori e Fedama hanno inviato in Sicilia un milione e mezzo di chili di fieno per aiutare gli allevatori dell’isola (Domani).
Oltre a subire gli effetti del cambiamento climatico, la Sicilia paga anche una cronica carenza infrastrutturale della rete idrica, per cui la poca acqua che c’è viene dispersa o è mal gestita. Secondo l’Istat, e come riportato in un bell’articolo su Euobserver di Pierluigi Bizzini, nel 2020, oltre il 52 per cento dell’acqua immessa nella rete idrica dell’isola è andato perso. Bizzini inoltre racconta delle difficoltà a realizzare le infrastrutture pianificate, a usare i fondi disponibili e della mancanza di un approccio sistemico che includa anche la rinaturalizzazione di fiumi, lagune e zone umide (Euobserver).
Eventi rari. Rimaniamo in Sicilia, ma ci spostiamo sulla costa, più precisamente nell’area marina protetta di Plemmirio, in provincia di Siracusa. Qui è stata avvistata una foca monaca. Già due anni fa si era visto un esemplare da queste parti e quello era stato il primo avvistamento in 60 anni. Un tempo era molto diffusa nel Mediterraneo, ma per via della perdita di habitat, delle uccisioni da parte dei pescatori e della pressione turistica la loro popolazione si è sempre più ridotta. La specie è fortemente a rischio di estinzione, se ne contano circa 700 esemplari tra Mediterraneo e Atlantico orientale (Siracusa News).
Un po’ più a nord, tra la Corsica e l’isola d'Elba, a distanza di pochi giorni si sono spiaggiati quattro esemplari di zifio, di cui tre morti. Gli zifi sono dei cetacei di cui si conosce poco perché poco numerosi e capaci di immergersi a grandi profondità per molto tempo, per cui si vedono raramente. Questi spiaggiamenti sono sospetti perché avvenuti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro in un'area ristretta. In attesa dei risultati dell’autopsia, la teoria più accreditata è che le esercitazioni militari Nato avvenute nell'area abbiano usato sonar sottomarini che hanno spaventato gli animali, i quali risalendo troppo in fretta hanno probabilmente avuto un’embolia e sono morti (Fanpage.it; Francebleu.fr).
Se mai ti capitasse di avvistare cetacei spiaggiati, contatta il Cert - Cetacean strandings Emergency Response Team, frutto della collaborazione tra Ministero dell’ambiente e Università di Padova che si occupa di indagare le cause degli spiaggiamenti.
Il viaggio di un capodoglio nel Mediterraneo. Un gruppo di ricercatori dell'università inglese di Exeter e israeliana di Haifa, insieme a Greenpeace, è riuscito a tracciare un capodoglio in diversi punti del Mediterraneo, dal mar Ligure fino alle coste al largo di Israele, il viaggio più lungo mai registrato per questo tipo di cetaceo. Lo studio mostra come questi animali si spostino da una parte all’altra del Mediterraneo passando dallo stretto di Messina o dal canale di Sicilia, due dei punti più trafficati del Mediterraneo, che è già di per sé uno dei mari più trafficati al mondo. La ricerca punta a sottolineare l’importanza di misure tese alla conservazione e protezione di questi animali, come l’introduzione di idromicrofoni in aree molto trafficate o dove si stanno compiendo esplorazioni offshore alla ricerca di idrocarburi, per segnalarne la loro presenza e prestare maggiore attenzione (Sciencedaily).
Consumo d’acqua vs disponibilità. Cambiando argomento, un recente studio pubblicato su Environmental Research Letters ha identificato 21 aree a livello mondiale dove il consumo di acqua supera la disponibilità idrica. Cinque di queste zone si trovano nel bacino del Mediterraneo: Spagna, Italia, Grecia, Turchia e il delta del Nilo in Egitto. Secondo l'analisi condotta dai ricercatori dell'Università di Utrecht con il supporto della National Geographic Society, l'uso agricolo è il fattore che incide maggiormente sull’impoverimento delle risorse idriche nella maggior parte di questi hotspot mediterranei. Fa eccezione la Spagna, dove, secondo i ricercatori, a incidere sulla disponibilità idrica sono principalmente i cambiamenti idroclimatici, in particolare la diminuzione delle precipitazioni complessive. Gli autori dello studio chiamano water gap la differenza tra la domanda e la disponibilità di acqua proveniente da fiumi, laghi e falde acquifere poco profonde ricolmate dalle piogge. Un divario che, se persistente, impoverisce le risorse di acqua dolce. In questa mappa interattiva, realizzata da National Geographic Society in collaborazione con Università di Utrecht ed Esri, è possibile esplorare la situazione in ogni parte del mondo e come è cambiata localmente la domanda di acqua nella storia recente.
Sullo stesso tema, un recente progetto giornalistico ha mappato lo stato delle acque sotterranee europee. Analizzando i dati disponibili, 14 giornalisti di sette paesi, coordinati dall’organizzazione Arena per il giornalismo in Europa, hanno scoperto che oltre il 15 per cento delle falde acquifere da loro considerate è pericolosamente inquinato, sovrasfruttato o entrambe le cose. Le condizioni peggiori sono state riscontrate in Spagna, Francia, Belgio e Paesi Bassi (Under the Surface).
Acque senza ossigeno. Grazie ai fertilizzanti sintetici abbiamo potuto produrre cibo in abbondanza nell'ultimo secolo, consentendo la cosiddetta “Rivoluzione verde” del dopoguerra. Ma buona parte di questi fertilizzanti non viene assorbito dalle piante e rimane nell'ambiente circostante, alterando gli equilibri ecologici. Un'inchiesta dei nostri Marcello Rossi e Davide Mancini ci porta nella Tuscia, in centro Italia, e nel mar Menor, in Spagna, dove decenni di uso di fertilizzanti hanno consumato l'ossigeno dei bacini idrici circostanti. Un problema che si riscontra in tutta Europa e raccontato in un video su Domani (in spagnolo con sottotitoli in italiano). I risultati di questo lavoro si possono inoltre leggere in inglese su Euobserver e in spagnolo su Climatica.
La copertina di questo mese è uno scatto dal mar Menor, dove la zona umida tra i campi coltivati e la laguna salata intercetta e filtra buona parte delle acque contaminate dai fertilizzanti (Davide Mancini).
Ondata di calore a Gaza. Ad aprile, un'ondata di calore eccezionale ha colpito la Striscia di Gaza, aggravando ancor più la drammatica crisi umanitaria causata dal conflitto in corso da oltre sei mesi. Una nuova analisi condotta da World Weather Attribution (Wwa) indica che questo evento estremo è stato intensificato dal cambiamento climatico causato dall'uomo.
I ricercatori che hanno preso parte allo studio coordinato da Wwa hanno esaminato le ondate di calore suddividendole in tre aree: Asia occidentale, Filippine, Asia meridionale e sud-orientale. In Asia occidentale - che comprende Palestina, Siria, Libano, Israele e Giordania - le temperature hanno superato i 40 gradi Celsius. Secondo lo studio, il cambiamento climatico ha reso questo caldo circa cinque volte più probabile e 1,7 gradi Celsius più intenso rispetto al passato. A Gaza, il caldo ha colpito duramente 1,7 milioni di sfollati, già in grave difficoltà per lo scarso accesso ad acqua e cure mediche adeguate.
Per valutare l'impatto del cambiamento climatico sul caldo estremo, i ricercatori che hanno partecipato allo studio hanno confrontato il clima attuale, che è circa 1,2 gradi Celsius più caldo rispetto all'era preindustriale, con il clima del passato. Secondo Friederike Otto, docente in scienze climatiche presso il Grantham Institute for Climate Change and the Environment e autrice del rapporto, “le ondate di calore sono sempre esistite, ma il calore aggiuntivo causato dalle emissioni di petrolio, gas e carbone sta provocando la morte di molte persone”.
Ondate di calore estreme, come quella che ha colpito Gaza, non sono rare e si verificano circa una volta ogni 10 anni. Tuttavia, se la temperatura media globale aumenterà di 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali, eventi simili potrebbero verificarsi ogni cinque anni in Asia occidentale (Cnn).
La fascia di fuoco a sud dell’Europa. El Diario pubblica una mappa interattiva (in spagnolo) con i mega incendi che hanno coinvolto l’area mediterranea negli ultimi anni. Lo fa partendo dalla regione di Evros, nel nord della Grecia, dove l’estate scorsa si è verificato il più grande incendio registrato in Europa - durò 16 giorni, causando almeno 20 vittime. L'incendio si è rapidamente diffuso nella zona attorno Alexandroupolis, devastando quasi 100mila ettari a causa dei forti venti e alte temperature.
I grandi incendi rappresentano un grave pericolo per le foreste europee. Ogni cerchio rosso sulla mappa realizzata da El Diario indica un grande incendio forestale - sopra i 500 ettari - verificatosi in Europa a partire dal 2000. La maggior parte degli incendi è concentrata in Portogallo, Spagna e Grecia, delineando una fascia che attraversa tutto il sud dell'Unione europea, in linea con quanto emerge dall'indice di rischio meteorologico di incendi (Fire Weather Index). Le proiezioni inoltre indicano un aumento del 20-40 per cento dei giorni favorevoli agli incendi boschivi in Spagna, Italia e Grecia entro la fine del secolo.
Il cambiamento climatico sta creando un circolo vizioso con gli incendi boschivi. Le condizioni generate dalla crisi climatica favoriscono la propagazione del fuoco, con stagioni ad alto rischio sempre più prolungate. Gli incendi stessi emettono grandi quantità di anidride carbonica nell'atmosfera, aggravando ulteriormente la situazione. Anche il modo in cui gli incendi si diffondono si sta evolvendo. Alcuni di essi sono stati definiti incendi di sesta generazione, in quanto alterano le condizioni meteorologiche locali. È un fenomeno in crescita: ci sono sempre più incendi di grande entità, che diventano sempre più devastanti e difficili da contenere.
Grandi quantità di vegetazione secca, alte temperature e venti forti contribuiscono a rendere questi incendi spesso "inestinguibili" e tali condizioni possono generare fenomeni estremi come la formazione di pirocumuli e tempeste di fuoco. Questi incendi hanno bruciato circa il 57 per cento degli 8 milioni di ettari bruciati in grandi incendi tra il 2000 e il 2023. L'articolo prosegue con una dettagliata indagine sul campo, completa di immagini, mappe, e testimonianze, nei luoghi colpiti da tre dei peggiori mega incendi avvenuti negli ultimi anni in Grecia, Spagna e Portogallo (El Diario).
Un anno dall'alluvione in Emilia Romagna. Negli ultimi Lapilli+ abbiamo ripercorso, attraverso gli scatti e la testimonianza del fotogiornalista Michele Lapini, alcuni dei luoghi maggiormente trasformati dalle alluvioni che nel maggio 2023 hanno duramente colpito l’Emilia Romagna. Abbiamo cercato di raccontare le frane e la situazione ancora difficile in molte zone di collina e in montagna, l’impatto delle alluvioni sulle identità delle persone e in alcuni casi il venir meno del senso di comunità che si crea attorno a luoghi e paesaggio. Se non l'avessi ricevuta, trovi qui la newsletter (per leggere la versione integrale scrivici o passa a Lapilli premium).
A pesca di reti fantasma. Ti salutiamo con questo video girato in Croazia, nell’isola di Molat per l’esattezza. Nelle acque di questo arcipelago che per buona parte appartiene alla rete europea di siti protetti Natura 2000, un gruppo di subacquei ha rimosso oltre 200 chili di reti e trappole fantasma. L’attrezzatura da pesca accidentalmente persa o abbandonata in mare infatti continua a pescare rappresentando una minaccia per la vita marina, già messa a dura prova da pressioni di altro tipo. L’iniziativa, partita nel 2023, dovrebbe ripetersi per tre anni.
MAGMA
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