Anche questo mese ti segnaliamo i contenuti su ambiente e Mediterraneo che ci hanno più colpiti. Speriamo incuriosiscano anche te. Se non sai chi siamo, qui trovi il manifesto e la squadra di Magma. Uscendo il primo di aprile non abbiamo potuto fare a meno di includere qualche pesce — di quelli veri!

Lo spettro della crisi alimentare. Le ripercussioni della guerra in Ucraina toccano da vicino buona parte del Medio Oriente e del Nord Africa. L’inizio del conflitto ha intensificato i timori di paesi come Libano, Libia, Egitto e Tunisia di restare senza grano, come riporta il Guardian e racconta Arianna Poletti ai microfoni di RSI. In una rubrica pubblicata su France Inter e tradotta da Internazionale si legge che i prodotti agricoli di 27 paesi (dove abitano 750 milioni di persone) si basano per più del 50 per cento sulle importazioni da Russia e Ucraina. Fino al 24 febbraio, la sola Ucraina contribuiva al 12 per cento dell’approvvigionamento globale di grano. Anche la disponibilità e i prezzi di mais, olio di girasole e fertilizzanti risentono del pesante attacco al paese la cui bandiera richiama proprio un campo coltivato. Nella Pianura Padana, l’impatto della guerra sulle importazioni e i prezzi del mais, sommati alla grave siccità di cui abbiamo parlato il mese scorso (che nel frattempo si è aggravata) e agli esorbitanti costi energetici, stanno mettendo in crisi gli allevamenti. Emergono così i limiti di una agricoltura fondata sul fare incetta di terreni, laddove costano meno, per poi coltivarli spesso con un'unica specie o varietà, a scapito di un approccio diversificato, diffuso, e su piccola scala. Proprio su questo tema si era concentrato il progetto fotografico del collettivo TerraProject Land Inc (libro del 2016 edito da Intervalles), di cui è visibile qui sotto una foto scattata da Simone Donati in Ucraina nel 2012.

Luglio 2012: Un campo nel distretto di Letychivs'kyi, Chmel'nyc'kyj Oblast, Ucraina. La pulizia dei mietitori durante la raccolta di una sussidiaria di NCH Capital, società di private equity che controlla centinaia di migliaia di ettari in Ucraina e in Russia (LAND Inc./TerraProject)

La guerra delle fonti fossili. “Questa è una guerra delle fonti fossili”. Con queste parole la scienziata del clima ucraina Svitlana Krakovska aveva commentato l’inizio dei bombardamenti russi su Kiev alla fine di febbraio. Proprio in quel periodo, Krakovska avrebbe dovuto unirsi ai suoi colleghi dell’Ipcc, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, per apportare gli ultimi ritocchi al volume in uscita; invece si è dovuta nascondere in un rifugio sotterraneo con la famiglia. Sulle conseguenze della guerra sul clima, BBC World Service ha dedicato una recente puntata di The Climate Question. Al centro la dipendenza dell’Europa dal gas russo. Dalla centrale termoelettrica Andrea Palladio di Porto Marghera, in provincia di Venezia, Alessia Cerantola ha riferito sulla situazione in Italia. Il luogo è particolarmente significativo: si tratta infatti di uno dei sei impianti a carbone ancora attivi in Italia che, come previsto dal piano nazionale per l’energia e il clima, dovrebbero essere fermati o riconvertiti entro il 2025, ma che il governo guidato da Mario Draghi sta considerando di mantenere in funzione per svincolarsi dal gas russo – una prospettiva deleteria per gli obiettivi sul clima. Per scongiurare questo pericolo, in Europa si stanno cercando alternative. In questo contesto si parla anche della Spagna come possibile nuovo hub per l’energia europea, con un mix di energia solare, porti di rigassificazione GNL e gas dall'Africa. Nel paese iberico arriva infatti il gasdotto Medgaz, che attraversa il Mediterraneo trasportando gas dall’Algeria all’Andalusia, mentre un secondo gasdotto dal Marocco, Magreb-Europa, è in costruzione. Ma le tempistiche non coincidono certo con la soluzione a breve termine di cui c’è bisogno. Nel mentre l’approccio più efficace resta quello di usare meno energia.

Anche se possono sembrare pesci come tanti altri, quelli ritratti in questa foto contengono una pericolosa tossina che può portare anche alla morte, se consumati. Si tratta infatti del Lagocephalus sceleratus, o pesce palla maculato, una specie tipica degli oceani Indiano e Pacifico. Entrata nel Mediterraneo tramite il canale di Suez, in Egitto, si sta diffondendo sempre più verso ovest, a causa principalmente dei cambiamenti climatici che rendono le acque più calde e perciò adatte a ospitare specie tropicali. Gli effetti della sua presenza sono tangibili, come lamentano alcuni pescatori nel sud della Grecia, che sempre più spesso si vedono costretti a fare i conti con ingenti danni alle reti e al pescato. La foto ci è stata gentilmente fornita dalla squadra di Spot the Alien Fish con sede a Malta.

La polvere del Sahara colora l’Europa. Cieli arancioni, Alpi che ricordano dune, un pulviscolo rossiccio che ricopre auto e vetri. Tra il 14 e il 18 marzo una perturbazione atmosferica ha trasportato polvere dal deserto del Sahara su alcune zone della Spagna, del sud della Francia, del nord Italia, fino anche al Regno Unito e oltre. Sono eventi comuni in questo periodo dell’anno, ha detto Mark Parrington del servizio di monitoraggio dell'atmosfera Copernicus al New York Times, ma quello di metà marzo è stato particolarmente intenso. Secondo alcuni studi, sottolinea il team di Copernicus, con i cambiamenti climatici queste tempeste di polvere del Sahara aumenteranno di intensità. Ma le polveri sottili non hanno solo un effetto tattile o visivo. Se da un lato spesso nutrono con fosforo e ferro gli oceani, da un altro deteriorano la qualità dell’aria. Nelle isole Canarie, dove gli episodi di caligine sono più frequenti, le autorità sanitarie hanno infatti consigliato di ridurre l'attività fisica all'aperto.

La nuova vita della riserva. Questo articolo di Mongabay racconta come, nel Libano alle prese con una severa crisi economica, il recupero della riserva dello Shouf abbia gettato le basi per nuove opportunità di lavoro, una comunità resiliente e dedicata alla preservazione di biodiversità e paesaggio. Al centro dell’intervento, la valorizzazione delle specie indigene coltivate e dei prodotti tipici dell’area, come gli ulivi e gli iconici cedri, la riforestazione e il recupero dei terrazzamenti.

Siti Unesco e cambiamenti climatici. In Algeria, le rovine di Tipasa sono minacciate, oltre che dall’incuria, dall’innalzamento del livello del mare. Una sorte simile riguarda altri 55 siti dislocati lungo le coste africane, circa il 20 per cento del patrimonio mondiale riconosciuto nel continente. Li mappa un recente studio pubblicato su Nature Climate Change che sottolinea come entro il 2050, se il riscaldamento globale non viene contenuto, questi numeri potrebbero persino triplicare. Ne scrive Gemma Tarlach su Atlas Obscura.

Nel terzo episodio di Ricercati, la nuova serie di podcast di Chora Media, Paolo Giordano intervista Giacomo Parinello, assistente professore alla Sciences Po, sul presente, passato e futuro del principale fiume italiano. Oltre al percorso accademico di Parinello, ricercatore di Storia ambientale, il servizio ripercorre le fasi che più hanno condizionato il fiume. La conversazione si sofferma anche su come si è evoluto negli anni il rapporto tra crescita economica e ambiente, uomo e natura, fino ad arrivare a oggi e agli effetti del cambiamento climatico.

GUIA BAGGI
Giornalista indipendente, scrive di ambiente e nello specifico della relazione tra l’uomo e il mondo che lo circonda. Negli ultimi anni si sta concentrando sugli impatti che i cambiamenti climatici e altre crisi ambientali hanno sull'area mediterranea – ma su anche iniziative legate all'adattamento. Per questo ha ideato e cofondato Magma.

Questo è quanto per questo mese. Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo a maggio.

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