L'evento più memorabile cui ho partecipato durante la Conferenza delle Nazioni unite sugli oceani (Unoc) a Nizza è stato un panel dedicato alla piccola pesca. Spiccavano un'energia, un'autenticità e un coinvolgimento che raramente si vedono in conferenze di questo tipo. Tra i relatori c'era anche un rappresentante di Life (Low Impact Fishers of Europe), un’organizzazione che riunisce e sostiene i pescatori su piccola scala a livello europeo. Dopo l'evento ho chiesto a Life di mettermi in contatto con i loro membri mediterranei. Nonostante le numerose sfide che i piccoli pescatori si trovano ad affrontare in uno dei mari più sovrasfruttati al mondo - l'eccessivo turismo, i cambiamenti climatici, le specie invasive, la competizione per le poche risorse e per l'aumento delle attività marittime, la burocrazia e lo scarso rinnovamento generazionale - quelli con cui ho parlato sembrano determinati a reclamare il proprio ruolo nella governance del mare. Sono infatti consapevoli della dura verità: senza pesce, il loro lavoro e il loro stile di vita è destinato a sparire.

Kazimir Bogović era un tempo proprietario di un ristorante. Poi, sette anni fa, ha lasciato la cucina per dedicarsi alla pesca. Una decisione dettata da un forte desiderio di libertà. La pesca gli scorre nel sangue: suo padre, suo nonno e il suo bisnonno erano tutti pescatori. Così Bogović ora passa le notti invernali ad arpionare polpi, seppie e calamari. Poi, durante i mesi estivi, come molti dei 60 pescatori della piccola isola croata di Mali Lošinj, mette le trappole per aragoste, polpi e pesci.

“Sosteniamo fortemente l'uso di strumenti selettivi e la cura del mare, in modo da poter lasciare qualcosa alle generazioni future”, mi dice Bogović, descrivendo la missione dell'associazione di piccoli pescatori costieri dell'Adriatico di cui fa parte.

Ogni anno, l'associazione organizza un incontro con i ricercatori di istituzioni come il Centro di ricerca marina di Rovigno o l'Istituto di oceanografia e pesca di Spalato con l'obiettivo di approfondire la conoscenza dello stato del mare Adriatico e di individuare misure in grado di sostenere la rigenerazione delle sue risorse.

Un'iniziativa in particolare ha aperto gli occhi a molti pescatori lungo queste coste: l'istituzione nel 2017 di una zona di restrizione della pesca nella fossa di Pomo, un'area con acque profonde tra l'Italia e la Croazia di grande importanza per la riproduzione di scampi e naselli. Bogović ricorda: “Dopo qualche anno, intorno a quell'area, anche i pescherecci a strascico hanno visto catture molto più abbondanti”.

Ora l'associazione dei piccoli pescatori costieri dell’Adriatico sta negoziando con il governo croato per l'istituzione di altre zone di restrizione della pesca.

Quando però gli chiedo del futuro della pesca artigianale nel Mediterraneo, Bogović sembra meno ottimista.

“Ci sarà sempre qualcuno che farà questo lavoro perché, come me, vuole la libertà e gli piace il mare”, dice. Ma licenze e barche stanno diventando sempre più costose. “Il numero [dei pescatori artigianali nell'Adriatico] - afferma - è destinato a diminuire”.

Antonis Petrou, biologo marino che da oltre due decenni è consulente scientifico dell'Associazione pancipriota dei pescatori costieri professionali, è ancora più pessimista. “Credo che tra 20 o 25 anni non ci sarà più nessun pescatore professionale su piccola scala”, mi dice, parlando della situazione a Cipro. “Sarà solo un lavoro part-time o un hobby, non un lavoro con cui poter sfamare la propria famiglia”.

Pescherecci a Cipro (Bruna Casas)

Nel 2012, Cipro ospitava 12 pescherecci a strascico e circa 500 piccole imbarcazioni, di cui 300 erano pescatori professionali a tempo pieno. Oggi rimangono solo due pescherecci a strascico e 327 licenze costiere, di cui solo circa 100 appartengono a professionisti a tempo pieno. Alcuni pescatori guadagnano appena 20-30 euro al giorno. Pochissimi giovani si affacciano alla professione e i pescatori più anziani fanno fatica ad andare in pensione, perché lo stato ha smesso di incentivare con i fondi europei la cancellazione delle barche dal registro.

Il problema è semplice, come Petrou ripete più volte durante la nostra intervista: non c'è pesce da pescare. Ciò è dovuto, spiega, a una combinazione di fattori: la pesca eccessiva del passato, i cambiamenti climatici, la diffusione di specie invasive e una cattiva gestione.

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