La newsletter di questo mese ci porta su una minuscola isola di origine vulcanica nel canale di Sicilia, tra l’Italia e la Tunisia, per parlarci dei suoi mitici abitanti: le berte maggiori. Questi uccelli marini fanno il nido a Linosa da ben prima dell’arrivo dei nuclei familiari poi diventati stanziali sull’isola nel XIX secolo. L’arrivo dell’essere umano ha alterato gli equilibri dell'ecosistema dell’isola e introdotto nuovi rischi per questi uccelli migratori. Da quasi vent’anni però, grazie al lavoro dell'ornitologo Giacomo Dell’Omo e dell’associazione Ornis Italica, la popolazione di berte maggiori di Linosa viene costantemente monitorata e - per quanto possibile - protetta dalle molteplici minacce cui è esposta (una tra tutte l’uccisione involontaria durante le attività di pesca).

Il testo che proponiamo racconta del rapporto tra berte e linosani e di come sia cambiato nel tempo. Ringraziamo il giornalista Luca Misculin, autore del libro “Mare aperto”, da cui è tratto. Il libro è edito da Einaudi e racconta il Mediterraneo centrale a partire dalle storie umane che più lo caratterizzano.

Il paesaggio di Linosa (Guia Baggi)

Si dice spesso che in Scozia ci siano più pecore che persone: ed è vero, anche se di poco. A Linosa invece, una piccola isola circa 50 chilometri a nord di Lampedusa, la presenza non umana più pervasiva è quella dei fichi d’India.

[...] Gli unici frequentatori di Linosa che possono contendere il primato ai fichi d’India sono le berte maggiori, degli uccelli marini tipici delle piccole isole del Mediterraneo. Assomigliano agli albatros, degli uccelli quasi leggendari – anche grazie alla Ballata del vecchio marinaio del poeta inglese Samuel Coleridge – che però vivono a migliaia di chilometri di distanza da qui. Le berte maggiori invece passano gran parte dell’anno non lontano dall’Europa, alla ricerca di cibo a pelo d’acqua sull’oceano Atlantico. Poi, verso la fine della primavera, migrano nel Mediterraneo per accoppiarsi. Moltissime scelgono di atterrare proprio a Linosa, che da decine di migliaia di anni ospita la più grande colonia di berte maggiori in territorio europeo. Fino a poco tempo fa si pensava che fosse addirittura la più grande al mondo, che invece si trova poco distante, sull’isola tunisina di Zembra.

Fin qui nulla di particolare: molti uccelli migratori compiono lo stesso tragitto, a un certo punto dell’anno. Le berte maggiori però sono degli uccelli assai peculiari, che da tempo attirano le attenzioni e la curiosità degli studiosi umani.

Per cominciare sono eccezionalmente fedeli: scelgono un solo partner per tutta la vita. Il loro processo di riproduzione poi è estremamente laborioso. Le femmine depongono soltanto un uovo all’anno. Sono longeve quasi quanto gli uomini – possono vivere fino a 50 anni – ma anche assai più sedentarie: per tutta la vita abitano un solo nido, sempre lo stesso. A Linosa sono situati sulle rocce vulcaniche che danno sul mare, nella costa nord dell’isola, in una zona chiamata "Mannarazza". Le berte fanno anche un verso particolarissimo, simile a un lamento umano: secondo alcuni furono loro a ispirare la leggenda delle sirene, che nell’Odissea e in molte altre storie e miti occidentali attirano i marinai con la loro voce, per poi farli schiantare sulle coste rocciose di un’isola.

Una coppia di berte della colonia di Linosa (Giacomo Dell'Omo)

Non sappiamo con certezza perché gli antenati delle berte che capitarono a Linosa scelsero di costruire proprio qui il loro nido. Si pensa che abbiano apprezzato soprattutto la roccia vulcanica della costa settentrionale, piena di anfratti dove possono covare in tutta tranquillità il proprio uovo, al riparo da venti ed eventuali predatori (che a Linosa, peraltro, scarseggiano). Quando tutte le berte arrivano sull’isola, a fine maggio, ce ne sono 60 per ogni abitante umano. Anche se fino a pochi decenni fa erano molte, molte di più. 

"Fino al 1846 a Linosa c’erano solo le berte", racconta il ricercatore Giacomo Dell’Omo, che collabora con l’Università di Palermo e da quasi vent’anni coordina un progetto di monitoraggio della popolazione di berte maggiori a Linosa.

Nell’antichità l’isola era stata frequentata soltanto in modo sporadico: i Romani ci avevano costruito delle cisterne per l’acqua piovana, che probabilmente utilizzavano solo quando erano costretti a fare scalo sull’isola. I primi umani che misero piede a Linosa per rimanerci furono un centinaio di persone che sbarcarono sull’isola il 25 aprile del 1845. Erano stati inviati da Ferdinando II di Borbone per colonizzare Linosa e trasformarla in un’enorme tenuta agricola. Rispetto a una simile operazione avvenuta due anni prima a Lampedusa, le premesse sembravano migliori: Linosa è un’isola vulcanica, a differenza di Lampedusa, quindi ha un terreno decisamente piú adatto a essere coltivato. Nel 1859 però Ferdinando II morì, e con lui lo slancio del progetto coloniale. Due anni dopo l’isola passò al Regno d’Italia, come il resto del Regno delle Due Sicilie. Il primo censimento nazionale del 1861 registrò sull’isola 118 abitanti, che nei decenni successivi se la sarebbero passata piuttosto male. I collegamenti con la terraferma erano complessi e occasionali: portare sull’isola un carico qualsiasi, cibo compreso, era una piccola impresa. Ancora nel 1960 il biologo Edoardo Zavattari, nel suo libro Biogeografia delle Isole Pelagie, notava che alcune "deficienze alimentari" causavano a molti abitanti dell’isola "gravissime distrofie dentarie".

Per non morire di fame, i linosani mangiavano tutto quello su cui potevano mettere le mani: comprese le uova delle berte, che in primavera sfamavano decine di abitanti dell’isola. Per essere commestibili, però, le loro uova devono essere mangiate quasi subito. Dato che le femmine depongono le uova di notte, per decenni i linosani sono usciti dalle proprie case, al buio, per incamminarsi verso le scogliere nere di Punta Mannarazza, nell’estremo nord dell’isola. Alcuni di loro si portavano dietro i figli, che con le loro manine riuscivano a raggiungere anche i nidi più nascosti. Una scena del documentario L’isola più lontana, girato a Linosa nel 1963 dal regista e fotografo Mario Carbone, mostra anche una sessione di caccia alle uova delle berte maggiori: a un certo punto si vede proprio un bambino infilare la mano in un pertugio di roccia vulcanica, e tirarne fuori un uovo. 

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