La Cop27 si è conclusa da poco a Sharm el-Sheikh in Egitto e in questo numero di Lapilli ripercorriamo quello che è successo e ci interroghiamo sul futuro degli accordi per il clima. Ma a novembre non c’è stata solo la Cop27. Vi parleremo delle conseguenze di un mar Mediterraneo sempre più caldo, anche in autunno, di progetti green in Marocco che poi così tanto green non sono, del proseguimento dell’inchiesta del nostro Davide Mancini sulla pesca nel Mediterraneo. E ancora, il disastro di Ischia e una buona notizia: Venezia ha evitato di essere sommersa da un’acqua alta record grazie al Mose; mentre una nuova barriera in plexiglass protegge la basilica di San Marco.

La frana di Ischia e altre calamità. Nel corso del mese appena trascorso forti precipitazioni hanno colpito diverse zone d’Italia e non solo, provocando allagamenti e dissesti. L’evento più significativo è stata la tragica frana avvenuta a Ischia, dove 126 millimetri di pioggia caduti tra la mezzanotte e le sei del mattino del 26 novembre hanno scatenato una colata di detriti che dal monte Epomeo è arrivata fino al mare, sventrando case e togliendo la vita ad almeno undici persone. La tragedia ha riportato a galla l’annoso tema del rischio idrogeologico e del consumo di suolo nel nostro paese, che negli ultimi anni è stato ulteriormente aggravato dall’avvento dei cambiamenti climatici, come sottolineato dal ministro per la Protezione civile Nello Musumeci in un’intervista al Messaggero. Pochi giorni prima una bomba d’acqua aveva colpito il Cilento creando allagamenti e frane. Precipitazioni intense hanno colpito anche le isole Eolie isolandole per più di 36 ore; mentre forti piogge hanno provocato alluvioni con danni e morti in Serbia, Montenegro, Kosovo e Albania.

Il caldo autunno del nostro mare. Il mar Mediterraneo è tra i mari al mondo che più risentono del cambiamento climatico in atto a causa della sua limitata estensione, la scarsa profondità se paragonato agli oceani, e il limitato scambio di acque con altri bacini. A ottobre ha raggiunto temperature superiori anche di 5 gradi alla media degli ultimi trent’anni, come si vede da questa immagine elaborata dal servizio marino dell’osservatorio europeo Copernicus, soprattutto nella parte nord occidentale tra Francia e Italia. Questo articolo de Il Post spiega come questo fenomeno sia alla base di eventi meteorologici sempre più intensi, come uragani e cicloni. “Gli uragani funzionano come macchine termiche. Prelevano calore da una sorgente, in questo caso l’oceano, e lo convertono in lavoro con un certo rendimento, in questo caso i venti. Tanto più calore c’è nell’oceano, tanta più energia è a disposizione per essere convertita in lavoro, quindi tanto più i fenomeni diventano intensi”, ha spiegato Marco Reale, ricercatore dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs) a Il Post. E se nel Mediterraneo non abbiamo veri e propri uragani, ci troviamo ad affrontare sempre più spesso i cicloni tropicali mediterranei, detti anche medicane.

Una mappa elaborata dall'osservatorio europeo Copernicus mostra l'anomalia termica registrata nel mar Mediterraneo lo scorso 30 ottobre.

I nodi della Cop27. Come ogni anno, decine di migliaia di persone da tutto il mondo hanno preso parte alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, giunta alla ventisettesima edizione. Tenutasi nella discussa sede di Sharm el-Sheikh in Egitto (una location raggiungibile praticamente solo in aereo), la conferenza ha prodotto risultati giudicati dalla maggior parte degli osservatori deludenti. Da anni attivisti ambientali lamentano una sostanziale inefficacia della manifestazione, visto che dalla sua prima edizione nel 1995 le emissioni a livello globale non hanno fatto altro che aumentare ogni anno.

Nonostante tutto, secondo un mini doc del Guardian, la Cop rimane l’unico momento a livello globale in cui la questione ambientale prende la scena e si tenta di trovare soluzioni comuni.

In termini pratici lo scopo delle Cop è quello di trovare politiche condivise da stati, aziende private, attivisti e membri della società civile per contenere il cambiamento climatico in atto. Alla Cop di Parigi del 2015 si arrivò a uno storico accordo in cui i delegati si impegnavano a contenere l’aumento della temperatura media del pianeta di 1,5 gradi centigradi rispetto alla media pre-industriale. Per farlo, si decise di tagliare drasticamente le emissioni di gas serra e ridurre l’utilizzo di petrolio, carbone e gas naturale. A distanza di sette anni, viste anche le complicazioni dovute alla guerra in Ucraina e al ritardo delle energie rinnovabili, l’accordo di Parigi sembra sempre più un miraggio.

Già a fine ottobre il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep) ha pubblicato un rapporto in cui ammette che per raggiungere gli obiettivi di Parigi ci vorrebbe un taglio talmente massiccio di emissioni nel breve periodo da ritenerlo irrealistico. In molti sostengono che a questo punto sia meglio accettare la realtà delle cose e concentrarsi sia sulla riduzione di emissioni, ma anche investire su azioni di mitigazione, nuove tecnologie per catturare l’anidride carbonica in eccesso nell'atmosfera e fonti di energia rinnovabile. Il Post parla ampiamente di questo cambio di rotta qui e l’Economist qui. Nel testo finale della Cop27 l’obiettivo dell’1,5 rimane, anche se più come una chimera che altro.

Chi paga il conto. La vera svolta della Cop27 è l’istituzione di un fondo di compensazione da utilizzare per aiutare i paesi più poveri che subiscono maggiormente gli effetti del cambiamento climatico a gestire il territorio e affrontare emergenze come alluvioni e siccità. Di un fondo di questo genere si parla da molto tempo, ridurre le emissioni costa, così come costano le operazioni di mitigazione e ricostruzione dopo alluvioni, uragani, incendi e siccità. I paesi in via di sviluppo che hanno emesso meno gas serra rispetto ai paesi più industrializzati da tempo chiedono una forma di rimborso o riparazione. Ma la questione è complessa e per chi è interessato al tema suggeriamo due articoli che la vedono in maniera diametralmente opposta: uno del Guardian che riporta il parere di un professore di Black studies secondo cui il cambiamento climatico è direttamente collegato al colonialismo e allo sfruttamento dei paesi meno sviluppati da parte di quelli industrializzati; e uno di Forbes per cui il concetto stesso di riparazioni è distorto e impossibile da applicare a un fenomeno così complesso. Se l’accordo su un fondo compensativo è un accordo storico, di fatto alcuni punti sui meccanismi di utilizzo e finanziamento rimangono ancora vaghi.

Una pesca insostenibile. Il nostro Davide Mancini si trovava nei giorni scorsi in Tunisia insieme a Sara Manisera e Arianna Poletti del collettivo Fada per continuare la loro inchiesta sullo sfruttamento delle risorse ittiche nella porzione di mare che collega il paese nordafricano all’Italia. Mentre circa una decina di giorni fa su tvsvizzera.it è uscito un articolo relativo alla prima parte di questo lavoro, il risultato della seconda tappa dell'inchiesta verrà pubblicato nei prossimi mesi. Nel frattempo condividiamo uno scatto dalle isole Kerkennah, nel golfo di Gabes, a soli 140 chilometri a sud ovest di Lampedusa.

Isole Kerkennah, Tunisia. Pescatori di charfia, un tipo di pesca “passiva” che sfrutta le maree per catturare i pesci usando corridoi fatti di foglie di palma (Davide Mancini)

Progetti non tanto green. Il Marocco viene spesso descritto come esempio di paese virtuoso per la sua sensibilità alle tematiche ambientali e per i molti progetti green promossi negli ultimi anni. Eppure, come dimostra questo reportage di Arianna Poletti e Aïda Delpuech pubblicato su Al Jazeera, non sempre questi progetti producono risultati a favore dell’ambiente. Per esempio, nella zona a sud est del paese, ai piedi della catena dell’Atlante, manca sempre di più l’acqua, l’area si sta desertificando e il cambiamento climatico sta peggiorando la situazione. Il governo, anziché usare l’acqua per un'agricoltura sostenibile e il recupero delle oasi, la dirotta verso grandi impianti solari, agricoltura intensiva e miniere di cobalto, minerale utilizzato per la produzione delle batterie per le auto elettriche, sostenendo che siano progetti green. I piccoli agricoltori della zona stanno chiedendo di impiegare parte delle risorse idriche per il recupero delle oasi locali che tradizionalmente erano fonte di sostentamento per le popolazioni locali.

Un mare che cambia. Un recente studio pubblicato su Nature modella spazialmente e temporalmente come la rete trofica marina del Mediterraneo sia mutata storicamente e come potrebbe mutare in futuro. Lo scopo è quello di fornire dati per una più efficace gestione delle risorse ittiche e un miglioramento delle politiche sul mare.

La Biennale dello Stretto verso il 2024. Novembre e dicembre chiudono la prima edizione della Biennale dello Stretto, di cui figuriamo tra i media partner. La rassegna, che ha aperto i battenti a fine settembre con un’intensa e ricca serie di talk a cavallo tra le sponde calabrese e siciliana dello stretto di Messina, ha visto lo scorso fine settimana la premiazione dei lavori in concorso. Su 112 progetti presentati da 137 architetti, 10 fotografi e 18 artisti, questo articolo ripercorre i vincitori di ogni categoria: paesaggio, arte, concept design, progetto architettura, video, scrittura, fotografia, cities case study, realismo immaginario. Tra questi segnaliamo: gli scatti di Giulia Flavia Baczynski dal titolo Nulla più del fiume scorre; il progetto architettonico boe culturali di Bergmeisterwolf; l’Atlante del Mediterraneo dell’università Iuav di Venezia per la sezione paesaggio; il video del biolago balneabile a depurazione naturale di Sasso Pisano; e i testi di Mauro Francesco Minervino per la sezione scrittura. Al centro di questa prima edizione, fortemente voluta e curata da Alfonso Femia e Francesca Moraci, patrocinata dalle città metropolitane di Reggio Calabria e Messina, e promossa da società benefit 500x100 e dagli ordini degli architetti di Reggio e Messina, le tre linee d’acqua: di costa, di crinale e di piana. I lavori continueranno a essere esposti al Forte Batteria Siacci a Campo Calabro (Rc) fino al 18 dicembre, data conclusiva della manifestazione. Intanto gli organizzatori già lavorano alla prossima edizione della Biennale prevista per il 2024, un’edizione che mira a proiettare lo Stretto sempre più al centro del Mediterraneo.

Venezia a prova di acqua alta. Vi lasciamo con delle immagini che vengono dalla laguna di Venezia dove all’inizio del mese è stata inaugurata una barriera di plexiglass che circonda la basilica di San Marco, punto tra i più bassi di Venezia che spesso si allaga con l’acqua alta. Grazie alla barriera, che a dire il vero non è bellissima, l’acqua alta non entra più in basilica. L’effetto acquario è garantito grazie ai pannelli trasparenti.

E se questa nuova barriera mette al riparo la basilica, il Mose sta proteggendo l’intera città dalle maree record. Il 22 novembre il Mose ha contenuto una marea simile a quella famosa del 4 novembre del 1966 che causò una delle alluvioni più devastanti della storia della città. Mose sta per modulo sperimentale elettromeccanico, un sistema di barriere mobili alle bocche di porto del lido che si attivano in caso di alta marea straordinaria. La sua realizzazione è stata segnata da scandali, polemiche e un costo di 6,5 miliardi di euro, circa un miliardo in più di quello preventivato. Inoltre, un recente studio dell'università di Padova sottolinea il forte impatto ambientale dell'opera sulla morfologia della laguna. Quando le paratie si alzano infatti bloccano non soltanto l’acqua alta ma anche le correnti che trasportano i sedimenti. A lungo andare il rischio è l’interramento dei canali, un indebolimento delle barene e un appiattimento generale della morfologia lagunare.

L’account instagram @venezia_non_e_disneyland ha pubblicato una serie di foto della barriera salva San Marco qui e qui; mentre qua sotto trovi il video di Local Team del Mose in azione.

Secondo uno studio della Banca d'Italia, il Mose ha contribuito all’aumento dei valori degli immobili a Venezia che storicamente si allagano in occasioni di acqua alta eccezionale. Lo studio evidenzia come le opere che mitigano gli effetti del cambiamento climatico contribuiscano ad aumentare i valori immobiliari, e propone di finanziare in parte queste opere tassando proprio quegli immobili che ne beneficiano di più.

GUGLIELMO MATTIOLI
Producer multimediale, ha contribuito a progetti innovativi usando realtà virtuale, fotogrammetria e live video per il New York Times. In una vita passata faceva l’architetto e molte delle storie che produce oggi riguardano l’ambiente costruito e il design. Ha collaborato con testate come The New York Times, The Guardian e National Geographic. Vive e lavora a New York da quasi 10 anni.

Questo è quanto per questo mese. Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo a gennaio, o forse prima.

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