In Italia ci siamo appena lasciati alle spalle l’anno più caldo da quando si hanno dati registrati e i primi giorni del 2023 hanno fatto vivere ancora una volta a buona parte d’Europa temperature ben al di sopra delle medie stagionali. Un’ondata di calore eccezionale con punte di anche 12-16 gradi Celsius sopra la media del periodo ha infatti segnato, per il continente europeo, il passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo. Ne teniamo traccia qua, tra i Lapilli di gennaio, insieme a tanti altri spunti che in coda al 2022 ci hanno incuriosito. Buona lettura! Ah, nel caso volessi seguirci anche sui social, questi sono i nostri profili Twitter e Instagram.

L'anno più caldo. I giorni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno sono da sempre tempo di bilanci. Un articolo della sezione Green de Linkiesta traccia la traiettoria entro cui collocare l’ultimo anno rispetto alla crisi climatica che stiamo vivendo. L'articolo ripercorre i vari campanelli d’allarme suonati nel corso del 2022 e ci ricorda quanto il pianeta stia andando spedito verso 1,5 gradi di riscaldamento globale, livello che nel 2015 a Parigi i paesi firmatari dei famosi accordi sul clima si erano impegnati a cercare di non oltrepassare. Tra questi campanelli, c'è quello suonato a fine 2022 dal Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale (Lamma) che riunisce Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e Regione Toscana, che ha sottolineato come, in linea con quanto rilevato dall’Istituto per le scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Cnr, in Italia il 2022 sia stato l’anno più caldo da quando abbiamo dati disponibili. I principali quotidiani cartacei non hanno dato particolare rilievo alla notizia. Il 28 dicembre occupava la prima pagina solo di Avvenire, con un’intervista all’oceanografo Roberto Danovaro, e de Il Corriere della Sera, che, tra le altre cose, all’interno, sottolineava i danni dal punto di vista economico che la siccità dell’ultimo anno ha avuto sulla produzione agricola del nostro paese. Neanche il caldo anomalo che tra la fine e l’inizio dell’anno ha interessato buona parte d’Europa con temperature record in moltissime località ha riportato la crisi climatica in prima pagina, se non con qualche eccezione. Nel mentre, la Francia, come altri paesi europei, ha festeggiato la fine di un anno eccezionalmente sopra le medie con il Capodanno più mite degli ultimi 75 anni. Per restare aggiornati su questi temi consigliamo i profili Twitter dei meteorologi @Giulio_Firenze, @ScottDuncanWX e @WxNB_.

Pnacc, iter al via. A fine dicembre il nuovo ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica (Mase), ex Mite ed ex ex ministero dell’Ambiente, della terra e del mare, ha presentato la versione aggiornata del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc). Dal 2018, il documento che serve ad attuare la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Snacc) approvata nel 2015, era rimasto solo una bozza. Nonostante più volte invocato, finora il piano non era stato né approvato né riesumato. Alcuni scienziati avevano recentemente sottolineato come avrebbe dovuto essere rivisto alla luce degli ultimi modelli climatici più avanzati rispetto a quello usato quando era stato abbozzato. Questo articolo del Sole 24 Ore riassume i principali punti racchiusi nella versione pubblicata dal Mase a dicembre. Il Pnacc dovrà ora affrontare la procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas) prima di venire ufficialmente approvato. Per chi volesse approfondire, suggeriamo questo articolo e le ultime pagine del libro di Stefano Liberti Terra Bruciata.

Piante marine a prova di futuro cercasi. Dai fondali bassi di isole vulcaniche come Ischia e Vulcano, in alcuni punti, bollicine di anidride carbonica escono dalle rocce. In circa una settantina di posti al mondo, 12 nel Mediterraneo, con simili caratteristiche naturali, gli scienziati possono studiare gli effetti dell’acidificazione sulla biodiversità dei nostri mari. Ai livelli di pH attesi per la fine del secolo dai peggiori scenari climatici del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), l’organismo delle Nazioni unite (Onu) che valuta le conoscenze scientifiche sul clima, tra gli organismi marini che se la passano meglio ci sono quelli fotosintetici, come macroalghe e fanerogame. Questo tipo di vegetazione marina è anche di fondamentale importanza per mitigare l’acidificazione stessa e i suoi effetti sulle altre specie. Oltre a rimuovere anidride carbonica e rilasciare ossigeno attraverso la fotosintesi, seppelliscono e mantengono interrato carbonio organico. Negli ultimi decenni però molti fattori hanno contribuito al degrado di questi ecosistemi denominati di carbonio blu. Entro il 2030 l’Unione europea e l’Onu si sono dati come obiettivo la protezione e il ripristino di porzioni di questi habitat. A Ischia, lungo le bocchette che emettono CO2, i ricercatori del centro marino della Stazione zoologica Anton Dohrn (Szn) stanno cercando di individuare le popolazioni di fanerogame e macroalghe più resilienti ad acidificazione, inquinamento e ondate di calore da impiegare in eventuali progetti di recupero. Ne ho scritto per Mongabay evidenziando anche le sfide a cui il recupero di questi habitat va incontro.

Posidonia oceanica lungo le bocchette che emettono CO2 intorno al Castello Aragonese di Ischia (Pasquale Vassallo/SZN)

Tartufo e cambiamenti climatici. “Grazie anche ai prezzi altissimi di ottobre e novembre, abbiamo salvato la stagione”, ha detto a Radar Matteo Guerra, tartufaio di Sant’Angelo in Vado, nelle Marche. La prolungata assenza di piogge dell’anno appena passato ha destato preoccupazione tra chi commercia tartufi. Le precipitazioni di fine estate hanno risolto la situazione in molte zone, ma non nella valle del Metauro dove vive Guerra. Lì infatti non ha piovuto abbastanza. “Il terreno compatto e la bassa umidità non hanno permesso al tartufo di svilupparsi a dovere e la maggior parte di quelli che si sono trovati in questa zona sono stati piccoli, sotto i 50 grammi”, ha spiegato Guerra al magazine digitale. Quale futuro dunque per tartufi e tartufai in un’Italia sempre più siccitosa? L’articolo di Francesco Martinelli uscito con le foto di Elisabetta Zavoli lo scorso mese su Radar ripercorre il filo che lega la formazione di questi prelibatissimi funghi sotterranei con l’ambiente in cui crescono e si interroga nello specifico sul futuro del settore visti i cambiamenti climatici in atto.

Collettori di nebbia. In Spagna, alle Canarie e in Portogallo, per fronteggiare il degrado del suolo dovuto a incendi e desertificazione, una startup ha installato circa 100 collettori di nebbia per sfruttare ogni singola goccia d’acqua catturabile per l’irrigazione. Oltre all'installazione di queste strutture a reti verticali in grado di canalizzare l'acqua trasportata dal vento, un progetto finanziato dall’Unione europea sta affiancando a questi sistemi di raccolta della nebbia la riforestazione di alcune zone colpite da roghi. Un bell’articolo uscito a novembre sulla testata statunitense The Christian Science Monitor e uno a fine ottobre su Lifegate ripercorrono come si sono sviluppate e quali sono le aspettative intorno a queste soluzioni per fronteggiare la crescente aridità di alcune aree del Mediterraneo. Visto che non lo abbiamo incluso in altri Lapilli, lo proponiamo ora.

Meno arcobaleni nel Mediterraneo? Un recente studio firmato in prevalenza da ricercatori dall'università delle Hawaii avanza l’idea che i cambiamenti climatici potrebbero portare a un aumento dei giorni in cui a livello globale si assisterà ad arcobaleni. Questa tendenza secondo lo studio toccherebbe però soprattutto le alte latitudini dell’emisfero boreale e non la regione del Mediterraneo, dove invece è prevista una diminuzione delle giornate in cui si vedranno gli archi colorati attraversare il cielo. La differenza sta tutta nei cambiamenti a livello di regime delle precipitazioni che si stanno verificando alle varie latitudini. Infatti, l’effetto ottico dell’arcobaleno si verifica quando gocce di pioggia rifrangono i raggi del sole. Laddove si attende una diminuzione delle precipitazioni, come nel Mediterraneo, il verificarsi di questa combinazione di fattori sembra destinata a diventare più rara. Ne ha scritto in italiano Icona Clima.

Gazze marine fuori rotta. I mesi scorsi hanno registrato un insolito numero di avvistamenti di gazze marine nelle acque del Mediterraneo meridionale. Questi uccelli della stessa famiglia dei più famosi pulcinella di mare, anche se dal becco più fine e dai colori meno sgargianti, in versione in bianco e nero per intendersi, solitamente svernano lungo le coste atlantiche spingendosi al massimo fino alle Canarie. Solo pochi esemplari entrano sporadicamente nel Mediterraneo, senza avventurarsi oltre il mar Ligure. Quest’anno invece, come riportato da diversi media, anche internazionali, e nel servizio qua sotto della redazione campana della Rai, sono stati notati ben più a sud (Campania, Sardegna, Sicilia, Puglia; ma il servizio menziona anche Grecia e Tunisia) in numeri considerevoli. Non è chiaro il perché di questo fenomeno, ma per aiutare i ricercatori a raccogliere dati e capirci qualcosa di più, Szn e la sezione di Napoli della Lega navale italiana hanno messo online un modulo attraverso il quale è possibile segnalare eventuali avvistamenti.

GUIA BAGGI
Giornalista indipendente, scrive di ambiente e nello specifico della relazione tra l’uomo e il mondo che lo circonda. Negli ultimi anni si sta concentrando sugli impatti che i cambiamenti climatici e altre crisi ambientali hanno sull'area mediterranea – ma su anche iniziative legate all'adattamento. Per questo ha ideato e cofondato Magma.

Questo è tutto per questo mese. Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo a febbraio. Qui puoi farci sapere cosa pensi di Lapilli.

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