Questo mese Lapilli arriva dallo sperone d’Italia, il Gargano. Poco più in là, oltre il mare, l’Albania ha da poco proclamato il primo parco nazionale fluviale. Ne parliamo insieme ad altre storie su ambiente e Mediterraneo che ci hanno particolarmente colpito, fatto riflettere e riempito gli occhi: dalle Alpi che cambiano alla sintesi dell’ultimo rapporto del panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), alle città che cercano di mitigare gli effetti del cambiamento climatico piantando alberi. Buona lettura! Nel caso volessi seguirci anche sui social, questi sono i nostri profili Twitter e Instagram.
Alberi in città. Gli alberi in città rinfrescano, abbassano la temperatura locale, più ce ne sono e meglio è. Secondo uno studio pubblicato a febbraio su Lancet potrebbero addirittura salvare vite. I ricercatori hanno trovato un nesso tra le superfici alberate e il numero di morti premature per caldo nelle città europee analizzando dati risalenti all’estate 2015. Lo studio conclude che se la superficie alberata aumentasse del 30 percento nelle 93 città europee considerate, l'effetto isola urbana di calore verrebbe mitigato e quindi si ridurrebbero le morti premature per caldo.
Ma aumentare la superficie alberata è meno semplice di quello che sembri, anche se nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) i soldi per questo non mancano. Secondo il Pnrr, infatti, l’Italia avrebbe dovuto piantare 1,6 milioni di alberi entro la fine del 2022, e un totale di 6,6 milioni entro il 2024, in 14 città che soffrono di inquinamento e temperature elevate. Per fare ciò, tra fondi nazionali ed europei ci sono a disposizione circa 330 milioni di euro. A fine marzo però la Corte dei conti ha rilevato che questo corposo progetto di piantumazione è molto indietro. Solo alcuni comuni hanno superato la fase di progettazione e, quelli che l’hanno fatto, hanno piantato semi anziché alberi già cresciuti. In alcuni casi, gli alberi piantati sono già morti (sigh). Milano poi, tra le città più inquinate d’Italia, non ha proprio presentato progetti di piantumazione perché non ha trovato aree idonee. Il bando europeo infatti prevede che le aree da piantumare siano di almeno tre ettari affinché i benefici siano rilevanti.
Alpi che cambiano. Abbiamo parlato spesso di come stia cambiando il paesaggio alpino per via del cambiamento climatico. Finora abbiamo raccontato dei ghiacciai che si riducono, della quota delle nevi perenni che sale inseguita dalla vegetazione che si espande, rendendo le montagne meno bianche e più verdi. Ma anche il permafrost, quello strato di roccia misto a terra perennemente ghiacciata che più spesso si trova ai poli, ma anche a quote sopra i 2.500 metri, in profondità nelle pareti rocciose, si sta modificando. Alcuni studiosi che monitorano le Alpi francesi si sono accorti che il permafrost alpino, che agisce come collante tra le pareti di roccia verticale, si sta indebolendo rendendo i versanti più instabili. Le continue ondate di calore, e le temperature medie in crescita, stanno fondendo questo strato di ghiaccio e terra che solitamente perdura per anni. I ricercatori hanno anche rilevato un aumento nella frequenza dei crolli in vetta che rende più rischiose le scalate per le migliaia di appassionati che ogni giorno durante l’estate salgono in vetta, e potenzialmente trasforma il paesaggio dell’arco alpino.
Vita senza acqua. Laura Gruppuso, dottoranda in biologia ambientale e cambiamento climatico all’università di Torino, ha pubblicato su L’Essenziale una bellissima descrizione dei suoi studi sulle interazioni tra le foglie che cadono nel Po, la sua portata d’acqua e gli insetti che colonizzano la materia organica sul fondo del fiume. Gruppuso studia gli effetti della siccità sul principale fiume italiano, concentrandosi in particolare sulle secche invernali, nell’ultimo decennio sempre più frequenti a valle. Dai suoi studi risulta che la portata ridotta del corso d’acqua rallenti il processo di decomposizione delle foglie e dunque vada a influire negativamente sulle comunità di insetti che vi abitano.
Tra siccità e incendi precoci. Per restare in tema siccità, Fanpage ha pubblicato un’intervista a Monia Santini, responsabile della divisione Impatti su agricoltura, foreste e servizi ecosistemici del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) in vista della prossima estate. Infatti, la situazione rimane critica soprattutto al nord. A inizio aprile, il livello idrometrico del fiume Po a Ponte della Becca è a -3,4 metri, e appare ormai chiaro che bisogna ripensare la gestione delle acque, efficientare la rete idrica e incentivare coltivazioni che non richiedono molta acqua per crescere. La siccità continua a riguardare non soltanto l’Italia, ma anche altri paesi del Mediterraneo. In Tunisia un recente provvedimento vuole tagliare le forniture idriche alle abitazioni civili durante la notte. In Spagna inoltre è già tempo di incendi: a fine marzo 4.300 ettari sono andati a fuoco nell’est del paese. Qui l’Associated Press mette in relazione questi incendi precoci con i cambiamenti climatici.
Il Mediterraneo che ci attende, secondo l’Ipcc. È uscita la sintesi dell’ultimo, e forse finora più esaustivo, rapporto dell’Ipcc, il panel intergovernativo sul cambiamento climatico. In questo video, gli scienziati italiani spiegano i punti fondamentali, soffermandosi a lungo (minuti 37-54) anche sugli impatti e i rischi a cui va incontro il bacino del Mediterraneo. A questo link invece la Bbc riassume i cinque messaggi chiave che emergono dal rapporto di sintesi; oppure sempre sul rapporto, in italiano, suggeriamo questo articolo de Il Post.
Il fiume selvaggio d’Europa. L’Albania ha da poco proclamato un parco nazionale lungo il fiume Vjosa. La notizia è di particolare importanza perché è il primo parco nazionale fluviale e perché il Vjosa è uno dei pochi fiumi rimasti quasi totalmente selvaggi in Europa: senza dighe, argini o opere umane che ne limitino il corso e la capacità di supportare biodiversità.
Specie marine invasive a tavola. La nostra Guia Baggi ha recentemente pubblicato un articolo su Mongabay che esplora i dilemmi legati al consumo delle specie invasive come strumento di gestione della loro espansione. Guia ha già scritto in passato dell’invasione di specie marine non autoctone nel Mediterraneo. In questo ultimo pezzo si sofferma sui diversi aspetti da tenere in considerazione quando si indirizzano gli sforzi di pesca su specie invasive ma gustose come il pesce scorpione o i granchi blu. Un approccio per niente banale o scontato all’intersezione tra la pesca e la conservazione degli ecosistemi locali.
Gli abitanti del nostro mare. Un’ultima segnalazione ci arriva direttamente da Cipro e riguarda un coinvolgente documentario intitolato “Mediterraneo - La vita sotto assedio”. Girato in 12 paesi, nell’arco di due anni, con la consulenza di 50 scienziati, racconta il Mediterraneo dal punto di vista dei suoi più iconici abitanti, esplorando i pericoli che le specie marine e non solo affrontano tutti i giorni per sopravvivere in uno dei mari più antropizzati al mondo. Questo il link per guardarlo su Raiplay.
GUGLIELMO MATTIOLI
Producer multimediale, ha contribuito a progetti innovativi usando realtà virtuale, fotogrammetria e live video per il New York Times. In una vita passata faceva l’architetto e molte delle storie che produce oggi riguardano l’ambiente costruito e il design. Ha collaborato con testate come The New York Times, The Guardian e National Geographic. Vive e lavora a New York da quasi 10 anni.Questo è tutto per questo mese. Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo a maggio. Qui puoi farci sapere cosa pensi di Lapilli.
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