Tutti in Spagna ricordano ancora le immagini delle devastanti alluvioni che hanno colpito l'area intorno a Valencia il 29 ottobre dello scorso anno: persone bloccate nelle loro auto, in piedi sui tetti delle case e interi villaggi spazzati via da acque fangose e torbide. In alcune zone, in otto ore è caduta la pioggia di un anno, producendo muri d'acqua che hanno spazzato via tutto ciò che incontravano sul loro cammino. A causare questo evento è stato un fenomeno meteorologico chiamato Dana, dallo spagnolo Depresión Aislada en Niveles Altos, una depressione isolata ad alta quota, tipico di questa zona durante la stagione autunnale e reso particolarmente estremo dai cambiamenti climatici e dalle elevate temperature che lo scorso anno hanno caratterizzato il Mediterraneo.

La perturbazione ha provocato 228 morti, distrutto aziende, mezzi di sostentamento e più di 75mila case, causando 17 miliardi di danni. A un anno di distanza, in molti non sono ancora riusciti a tornare nelle proprie abitazioni perché le ditte edili hanno più lavoro di quanto ne riescano a gestire.

Quando si verificano eventi estremi così devastanti, tendiamo a ricordare soprattutto i danni a edifici o infrastrutture e i miliardi necessari per ricostruire. Ma c'è anche un costo enorme per la natura e gli ecosistemi circostanti. Nelle settimane successive alle alluvioni, Carlos Gonzalo Gil, un fotografo di 26 anni laureato in scienze ambientali all'Università di Valencia, ha deciso di documentare l'impatto della Dana sul parco naturale dell'Albufera, un luogo dove ha trascorso gran parte della sua infanzia. Le immagini che ha scattato e che mostrano l'impatto della perturbazione sul parco sono apparse sul quotidiano spagnolo Levante-EMV e sono state esposte in una mostra organizzata da “Cultura Inquieta” a Madrid.

“Con il mio lavoro voglio unire scienza e narrazione visiva per stimolare la riflessione e l’azione sui temi del clima e dell’ambiente, afferma Gonzalo Gil.

Qui di seguito trovi alcune delle foto scattate nelle settimane e nei mesi successivi a quel catastrofico 29 ottobre 2024, insieme a una breve intervista con l'autore.

Spiaggia di “La Devesa”, nel parco naturale dell’Albufera, circa dieci giorni dopo il disastro della Dana. Un grande accumulo di detriti, costituiti principalmente da resti di canna comune (Arundo donax) e da rifiuti di origine antropica, ricopre il litorale dell’area protetta, 11 novembre 2024.

Perché era importante per te documentare non solo l'impatto del disastro sulle città e sui centri abitati, ma anche sul parco naturale dell'Albufera?
Nel corso degli anni il mio focus è cambiato e si è evoluto da un tipo di fotografia più naturalistica e ornitologica a una che documenta i crescenti impatti dei cambiamenti climatici. Per me c'era poi anche un fattore personale: [la perturbazione] ha colpito la casa di famiglia e le case dei miei amici. La prima settimana dopo la Dana, ho visto molte persone con le macchine fotografiche, soprattutto della televisione, documentare quello che era successo, ma poi sono scomparse. Nelle settimane successive, non c’era nessuno a fotografare sul campo e per me era necessario farlo. Tutti erano nella zona zero” della catastrofe (ndr, l'area più colpita dalle alluvioni), ma nessuno era nel parco naturale. 

La maggior parte delle immagini proveniva dalle città, ma io volevo mostrare cosa era successo al parco naturale dell'Albufera, che è molto vicino alla città di Valencia. È stato difficile per me assistere alla devastazione del parco perché è il parco naturale o la zona umida dove sono cresciuto: i miei genitori lo adorano e ci vado da quando ero bambino. 

È il peggior disastro che lo abbia colpito dalla sua creazione nel 1986. Penso che le zone umide siano molto importanti, forniscono un incredibile servizio ecosistemico alla natura, ma anche alla popolazione. Ora ci sono tanti rifiuti che ne diventeranno parte, tra cui plastica, microplastiche e pellet, e questo influenzerà l'habitat e l'ecosistema.

Perché pensi che la copertura mediatica dei disastri dovrebbe concentrarsi maggiormente sull'impatto sulla natura? 
Tendiamo a pensare prima di tutto all'impatto sulle case e sulle infrastrutture, ma la natura, e in particolare il parco naturale dell'Albufera, non ha le stesse risorse o opportunità di ricostruzione delle città e delle strade. Mentre i volontari erano in strada nella zona zero” fin dal primo giorno, ci è voluto un mese perché la gente andasse al parco e iniziasse ad affrontare la devastazione che c’era. L'inquinamento, tipo quello causato dalla plastica e dai prodotti farmaceutici provenienti dalle fabbriche vicine, avrà un impatto significativo sul parco. Penso che il governo spagnolo abbia tutte le risorse necessarie per occuparsi di ogni tipo di zona del territorio valenciano colpita dalla Dana, ma non ha fatto abbastanza.

Tra il groviglio di detriti che, fino alla scorsa estate, ricoprivano le spiagge del parco naturale dell'Albufera, c’era anche una scarpa da bambino. Un piccolo oggetto che, tra canne secche e rifiuti di plastica trasportati dalla Dana, ricorda l'impatto umano e la vulnerabilità dell'ambiente naturale di fronte agli eventi meteorologici estremi, 11 novembre 2024.
Una risaia a Massanassa, Valencia, nelle vicinanze del Barranco del Pollo (o Barranco de Chiva), all'interno del parco naturale dell'Albufera, dopo gli effetti devastanti della Dana. L'immagine mostra una grande varietà di rifiuti, per lo più di origine antropica, ulteriore testimonianza silenziosa dell'impatto umano, 15 novembre 2024.
Un cumulo di veicoli alla periferia di Sedaví, una delle località della “zona zero”, quelle più colpite dalla Dana, nelle immediate vicinanze del parco naturale dell'Albufera, 16 novembre 2024.

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