Il numero di Lapilli di questo mese è ricco di storie che arrivano da ogni parte del Mediterraneo: dall’anniversario dell’alluvione di Valencia alle proteste contro la produzione di fertilizzanti in Tunisia, fino ad arrivare alla costa adriatica, dove i datteri di mare continuano a essere pescati nonostante i divieti.

Andiamo poi in Grecia, dove gli sfollati delle alluvioni del 2023 vivono in centri per migranti in attesa di una sistemazione definitiva. E ancora, parliamo di un’inchiesta transnazionale sul consumo di suolo in Europa dal titolo “Green to Grey” (da verde a grigio) e della proposta di riconoscere il lago di Garda come soggetto di diritto. Infine, ci soffermiamo sulle tartarughe Caretta caretta che continuano a nidificare sulle spiagge italiane in numeri record e, come sempre, molto altro. Buona lettura!

Il primo anniversario dell’alluvione di Valencia. A un anno dall’alluvione che ha colpito Valencia il 29 ottobre 2024, sono stati pubblicati diversi articoli che ricostruiscono quanto accaduto, le polemiche che ne sono seguite e le prospettive per il futuro.

L’alluvione fu provocata da un fenomeno meteorologico chiamato Dana, depressione isolata in alta quota, o goccia fredda, tipico del Mediterraneo occidentale, capace di generare forti temporali stazionari che riversano sul territorio grandi quantità di pioggia.

Quando un fenomeno di questo tipo colpisce un’area densamente popolata e, per sua conformazione geografica, incline a inondazioni come la regione valenciana, il rischio diventa altissimo. Se a questo si aggiunge anche il ritardo nei sistemi di allerta, si comprende come l’alluvione dello scorso anno abbia potuto causare oltre 200 vittime, più della metà delle quali aveva più di 70 anni (Phys.org).

E a un anno di distanza ancora non si sono placate le polemiche su come le autorità locali hanno gestito l’emergenza (Bbc). Sebbene i sistemi di allerta e gli strumenti di pianificazione territoriale siano stati rivisti e potenziati, secondo alcuni c’è ancora molto da fare per evitare che fenomeni intensi simili alla Dana dello scorso anno provochino nuovamente centinaia di vittime e danni per miliardi di euro, considerando che con i cambiamenti climatici eventi estremi di questo tipo sono con molta probabilità destinati ad aumentare.

Nell’ultima edizione di Lapilli+ abbiamo ricordato l’alluvione di Valencia attraverso le immagini di Carlos Gonzalo Gil. Le foto documentano i danni ambientali seguiti al disastro nel parco naturale dell’Albufera, a dieci chilometri da Valencia, un aspetto spesso trascurato, offuscato dal giusto rilievo dato alle vittime e ai danni subiti dalle abitazioni e dalle infrastrutture essenziali.

Proteste in Tunisia contro il polo chimico che produce fertilizzanti. Nella città tunisina di Gabès in migliaia sono scesi in strada per chiedere la chiusura del complesso chimico della Tunisian Chemical Group che trasforma il fosfato in fertilizzanti (Nigrizia). “Gabès è diventata una città di morte: la gente fatica a respirare, molti soffrono di cancro o fragilità ossea per l’inquinamento”, ha dichiarato il manifestante Khaireddine Dbaya a Reuters. Tonnellate di scarti industriali vengono rilasciate ogni giorno nel mare antistante la città, devastando, secondo i gruppi ambientalisti, la vita marina e le attività dei pescatori. Nonostante le promesse del 2017 di smantellare l’impianto e costruirne di nuovi più sicuri, nulla è stato fatto. Il presidente Kais Saied ha parlato di “assassinio ambientale” e ordinato interventi urgenti. Allo stesso tempo, il governo punta a quintuplicare la produzione di fosfati entro il 2030 aggravando le tensioni tra sviluppo economico e tutela della salute pubblica (Reuters).

La miniera di Kef Eddour, a Métlaoui, in Tunisia, aperta nel 1985, è una delle più grandi miniere di fosfato a cielo aperto del bacino minerario di Gafsa. Sopra uno scatto della giornalista Daniela Sala del collettivo Fada che l'anno scorso insieme ad altri ha pubblicato vari articoli sulla contaminazione legata all'estrazione dei fosfati al confine tra la Tunisia e l'Algeria.

La frutta tropicale “made in Italy” fa gola alle multinazionali. La multinazionale svizzero-americana Chiquita avvierà in Sicilia la prima piantagione di banane “made in Italy”. Il progetto inizierà in autunno con la messa a dimora di 20mila banani da cui si prevede di ottenere i primi frutti già nel 2026. L'iniziativa si basa sul presupposto che il Mediterraneo si sta tropicalizzando, rendendo la coltivazione di frutti esotici sempre più praticabile (Il Sole 24 Ore). Negli ultimi anni, in Italia, e in particolare in Sicilia, colture di mango, avocado, caffè si sono sviluppate su piccola scala nell’ottica di testare un possibile adattamento dell’agricoltura locale al cambiamento climatico in atto, ma le dimensioni e il giro d'affari di queste coltivazioni stanno cambiando passo. L'avocado ad esempio è diventato un business milionario, che attira imprenditori e fondi di investimento. La domanda interna è in forte crescita. Il consumo pro capite è passato da 100 a 800 grammi all’anno in un decennio e i margini sono elevati: un ettaro di avocado può rendere più del doppio rispetto a un ettaro di limoni. Per questo molti agrumeti e orti vengono riconvertiti, con terreni che così passano da un valore di circa 80mila a 180mila euro per ettaro dopo la conversione. Alcune aziende hanno adottato un modello da startup, raccogliendo milioni di dollari in finanziamenti e investendo in tecnologie avanzate di irrigazione e monitoraggio. L’avocado è dunque diventato ormai il simbolo della nuova agricoltura da investimento (Il Post).

Migranti climatici. In Grecia, le conseguenze dell’alluvione che nel 2023 ha colpito soprattutto la Tessaglia si sovrappongono alla crisi migratoria. Nel paese di Farkadona, nel cuore della penisola ellenica, le inondazioni che nel settembre di quell’anno hanno devastato la zona hanno costretto centinaia di persone a lasciare le proprie case e a trasferirsi in centri di accoglienza per migranti e persone in attesa di asilo.

In una lunga inchiesta dal titolo “Migrants in their own land: climate displacement at Europe’s external borders” (Migranti nella propria terra: sfollati climatici ai confini dell’Europa), il media indipendente Solomon analizza come il cambiamento climatico in Grecia stia facendo emergere nuove forme di migrazione interna che si sovrappongono alla gestione dei flussi migratori esterni, creando tensioni sociali tra migranti interni ed esterni che si trovano a convivere in situazioni difficili.

Tra il 2008 e il 2023, la Grecia ha registrato oltre 213mila spostamenti interni causati da eventi climatici estremi, come alluvioni, incendi e tempeste: il numero più alto tra gli stati membri dell’Unione europea, secondo i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, e il fenomeno è in aumento. Le conseguenze non riguardano solo i danni materiali, ma hanno ricadute anche sullo spopolamento delle campagne, la perdita di coesione sociale e l’indebolimento economico delle comunità locali. La Grecia è anche uno dei paesi di frontiera dell’Europa e un punto di approdo per molti migranti che cercano di entrare nell’Unione europea. L’inchiesta denuncia l’inefficacia delle politiche e degli sforzi governativi di prevenzione e adattamento, sottolineando come la logica dell’emergenza continui a prevalere su una pianificazione sul lungo periodo (Solomon).

Il caldo amplifica le disuguaglianze. Segnaliamo un bel reportage che analizza come il caldo estremo, ormai sempre più frequente, incida sulla vita delle persone in maniera diseguale, mettendo a confronto quartieri periferici e centrali di Parigi e Barcellona.

Nei quartieri poveri di Barcellona (Nou Barris) e Parigi (Aubervilliers), gli abitanti vivono in abitazioni mal isolate, con scarsa presenza di verde e hanno difficoltà a permettersi l’aria condizionata. I sensori installati nelle case di alcuni residenti hanno registrato temperature interne superiori ai 50 gradi centigradi, con gravi conseguenze per la salute, soprattutto di anziani, bambini e persone vulnerabili. Nelle aree centrali e più benestanti di Parigi e Barcellona, invece, le abitazioni dispongono di un migliore isolamento termico, aria condizionata efficiente, spazi verdi e strade alberate che attenuano le temperature. I residenti hanno inoltre maggiori risorse economiche per sostenere i costi energetici, installare impianti di raffreddamento o ristrutturare le abitazioni. Queste aree beneficiano anche di politiche pubbliche più efficaci, grazie a budget comunali più elevati e infrastrutture migliori.

Se dunque Parigi dispone di 1.400 “isole fresche”, musei, chiese, parchi e centri climatizzati, Aubervilliers “non ha nemmeno stazioni d’ombra o punti di nebulizzazione”. Come ha ammesso un funzionario locale: “Non abbiamo le stesse risorse di Parigi. È un’altra realtà”.

Lo stesso vale per Barcellona, dove il nuovo “Heat Plan 2025–2035” prevede importanti investimenti per ombreggiare spazi pubblici e creare rifugi climatici, ma le zone popolari come Nou Barris restano indietro. In sintesi, il cambiamento climatico amplifica le disuguaglianze già esistenti: i ricchi comprano conforto e sicurezza, mentre i poveri affrontano temperature insostenibili in ambienti urbani sempre più invivibili.

Le ondate di calore, aggravate dal cambiamento climatico, causano ogni anno oltre 40mila morti in Europa. Ma misure pubbliche, come i piani anti-caldo e i rifugi climatizzati, restano spesso insufficienti nei quartieri più poveri, dove mancano investimenti per isolare meglio gli edifici, i sussidi per le bollette elettriche e le infrastrutture verdi (Unbias The News). 

Da verde a grigio. L’inchiesta “Green to Grey”, realizzata da 41 giornalisti e scienziati di 11 paesi europei, documenta in maniera molto efficace e visivamente interessante come l’Europa stia rapidamente perdendo le sue aree naturali e agricole. Tra il 2018 e il 2023 il continente ha perso circa 9mila chilometri quadrati di natura e terreni coltivabili, pari all’estensione di Cipro, con una media di 30 chilometri quadrati distrutti ogni settimana. Ogni anno scompaiono circa 900 chilometri quadrati di aree naturali e 600 chilometri quadrati di terreni agricoli, principalmente per nuove costruzioni, infrastrutture e attività turistiche. Le perdite, spesso di piccola scala ma cumulative, stanno avvenendo fino a una volta e mezza più rapidamente di quanto stimato in precedenza.

L’indagine mostra che il 70 per cento delle nuove costruzioni sorge in aree già urbanizzate, come parchi e spazi verdi, ma anche in zone costiere e protette, aggravando il degrado ambientale. In Turchia si registra la perdita più estesa: 1.860 chilometri quadrati di natura e terreni sacrificati tra il 2018 e il 2023, compresa la zona umida di Çaltılıdere, trasformata in un grande cantiere per yacht di lusso. Il caso ha suscitato proteste locali, poiché l’area, un tempo habitat di fenicotteri e pesci, è stata declassata da zona protetta per consentire i lavori.

In Portogallo, un nuovo resort con campo da golf da 300 ettari, il Costa Terra Ocean and Golf Club, è sorto sulle dune di Galé, in un’area inclusa nella rete Natura 2000. Nonostante i rischi ambientali, legati al consumo di oltre 800mila litri d’acqua al giorno e all’uso intensivo di fertilizzanti, il progetto è stato approvato dalle autorità portoghesi per motivi socio-economici. I residenti denunciano la privatizzazione di un’area pubblica e l’impatto devastante sulla biodiversità costiera.

In Italia, le sponde del lago di Garda sono minacciate da costruzioni con fini turistici; mentre in Grecia, le montagne del Vermio vengono trasformate in parchi eolici con nuove strade che cancellano aree naturali incontaminate. Secondo gli scienziati, la combinazione di sviluppo turistico e infrastrutturale sta distruggendo importanti ecosistemi del sud Europa.

L’inchiesta conclude che, nonostante le promesse dell’Ue di raggiungere il traguardo del “no net land take” entro il 2050 (ovvero un equilibrio tra la superficie di terreno convertita a uso edificato o impermeabilizzato e la superficie di terreno ripristinata a usi naturali o semi-naturali), la perdita di suolo continua e le nuove leggi, come la Nature Restoration Regulation del 2024, rischiano di restare inefficaci senza obiettivi vincolanti. “Non possiamo vivere in un deserto di cemento”, avverte l’ecologo Peter Verburg. “Abbiamo bisogno della natura per sopravvivere al cambiamento climatico”. A questo link, l’inchiesta con tanto di foto, grafiche e video: Green to Grey.

Ogni punto sulla mappa rappresenta un ambiente naturale o un terreno coltivabile andato perduto (Green to Grey).

Il lago di Garda sempre più urbanizzato. Uno dei capitoli dell’inchiesta “Green to Grey” analizza il caso del lago di Garda (al quale il nostro Davide Mancini ha dedicato la copertina di questo numero di Lapilli), dove le aree naturali sono a rischio per via del continuo aumento di turisti. Le immagini satellitari rivelano come le costruzioni stiano prendendo il posto di ambienti incontaminati, con una riduzione degli habitat per flora e fauna. Solo una piccola parte delle coste del Garda risulta protetta, principalmente sul lato veneto e nel parco dell’Alto Garda bresciano.

Il turismo sul lago, nato nell’Ottocento con l’apertura del primo hotel a Gardone Riviera, è oggi una macchina enorme: nel 2023 si sono registrati 25 milioni di pernottamenti, con un incremento del 30 per cento in dieci anni. I dati ufficiali non considerano gli affitti brevi, che incidono ulteriormente sulla presenza turistica. “Lo spazio nel lago di Garda è quello”, spiega il geografo Francesco Visentin. “Se continui a costruire infrastrutture e ad attirare più gente, aumenti solo i turisti e non la vivibilità del territorio”.

Intanto, la popolazione residente cresce poco, mentre si moltiplicano i complessi residenziali stagionali, vuoti per gran parte dell’anno.

Il turismo di massa e la costruzione continua hanno trasformato il territorio, riducendo la qualità della vita dei residenti. Anche le iniziative considerate “sostenibili”, come la ciclabile sospesa del Garda, sono contestate per l’impatto ambientale e i rischi di frane sulle falesie. Gli esperti sottolineano che queste opere, invece di ridurre il traffico, attirano nuovi visitatori, aggravando la pressione sul territorio.

La trasformazione del paesaggio, reso più “comodo” e artificiale per il turismo, comporta una perdita della sua autenticità naturale. “Spesso un paesaggio comodo per il turista è un paesaggio da cui molta parte della natura è stata cancellata”, dice Osvaldo Negra, zoologo e curatore del Muse, il Museo delle scienze di Trento. Oggi il Garda rappresenta un caso emblematico di come l’overtourism non sia solo un problema sociale ed economico, ma soprattutto ecologico (Il Bo Live). E adesso qualcuno sta pensando di riconoscere al Garda personalità giuridica con tanto di diritti come nel caso del Mar Menor in Spagna, di cui abbiamo parlato spesso. Tale status permetterebbe di considerare i diritti del lago nelle decisioni amministrative e, in prospettiva, anche di agire in giudizio contro chi ne compromette l’integrità (Il Bo Live).

L’appetito della Bosnia per i datteri di mare. Al largo di Neum, unico sbocco della Bosnia ed Erzegovina sull’Adriatico, alcuni subacquei locali continuano a pescare illegalmente i datteri di mare, frantumando le rocce del fondale, una pratica vietata in tutta l’Unione europea per i gravissimi danni ambientali che provoca. Il mollusco viene poi venduto a caro prezzo ai ristoranti della zona dove compare apertamente nei menu e viene servito anche ai turisti. In poche ore di immersione è possibile raccogliere fino a dieci chili di datteri, rivenduti ai ristoratori per circa 25 euro al chilo e serviti ai clienti a più del doppio. La domanda è alimentata da una clientela facoltosa, non solo sulla costa ma anche nell’entroterra, inclusa Sarajevo, che comprende numerosi croati che attraversano il confine per gustare un piatto proibito nel loro paese. 

L’estrazione dei datteri di mare comporta la distruzione delle rocce costiere e cancella habitat fondamentali per pesci, polpi, crostacei e alghe, con conseguenze irreversibili sulla biodiversità.

Questi molluschi impiegano fino a trent’anni per raggiungere le dimensioni richieste dai consumatori, mentre la perdita del substrato roccioso compromette l’ecosistema per decenni.

In Bosnia, il divieto di pesca per questa specie vale solo nel Cantone Erzegovina-Neretva, di cui Neum fa parte, lasciando un vuoto normativo che rende inefficaci i controlli. Le autorità locali ammettono la scarsità di ispezioni, mentre molti ristoratori dichiarano che continueranno a servire la pietanza finché non arriverà un divieto nazionale. Nella vicina Croazia, invece, la legge è severa: la pesca e la vendita dei datteri di mare sono vietate su tutto il territorio, le ispezioni sono frequenti e le sanzioni superano i mille euro, con le autorità che equiparano il contrabbando di questi molluschi al traffico di droga (Balkan Insight).

Neum, Bosnia ed Erzegovina (Zac Wolff su Unsplash)

Sempre più tartarughe nidificano in Italia. Nell’ultimo anno sono stati censiti 700 nidi di Caretta caretta in Italia. L’anno scorso i nidi censiti erano stati 601, mentre nel 2023 erano 443. Da un lato, questo risultato è dovuto a una migliore tutela e protezione delle spiagge; dall’altro, con l’aumento delle temperature, anche i litorali del Mediterraneo occidentale sono diventati luoghi adatti per la deposizione delle uova di questa specie (Il Post). A riguardo, Vittoria Torsello, che ha partecipato alla prima edizione della fellowship di Magma, ha pubblicato un articolo su quanto la coesistenza tra turisti e tartarughe sia difficile, se non impossibile, da realizzare. L’articolo si concentra in particolare sulle spiagge del Salento, tra le più antropizzate e affollate, ma anche tra quelle con il maggior numero di nidi (Lifegate).

Un mare circondato da montagne. Alluvioni estreme con tempi di ritorno superiori ai 500 anni, come quella che nel 2023 ha colpito l'Emilia Romagna, rischiano di diventare più frequenti in un bacino del Mediterraneo che si riscalda. Secondo un recente studio del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, a peggiorare la situazione c’entra pure la conformazione geografica della regione. Il Mediterraneo è un bacino chiuso circondato da catene montuose - Alpi, Appennini, Pirenei, Balcani e Atlante - che agiscono come barriere naturali, intrappolando l’aria umida proveniente dal mare. Questo fenomeno, noto come “effetto cul-de-sac”, blocca le nubi cariche di pioggia per giorni sopra le stesse aree, trasformando valli e pianure in zone alluvionali. È ciò che è accaduto in Emilia Romagna nel 2023, dove in 36 ore cadde l’equivalente di sei mesi di pioggia, causando 17 morti e 8,5 miliardi di euro di danni. 

A questo va sommato il riscaldamento globale, che rende l’atmosfera più calda e capace di trattenere fino al 7 per cento in più di umidità per ogni grado di aumento della temperatura. Tra il 1980 e il 2022, in Europa le inondazioni hanno causato 5.582 vittime. Nel solo 2023, hanno rappresentato l’81 per cento di tutti i danni economici legati agli eventi climatici. Pertanto, sottolinea lo studio, si fa sempre più urgente lo sviluppo di strumenti di previsione e preparazione a questi fenomeni.

Ghiaccio fondente. Ti lasciamo con un pezzo che, attraverso immagini a confronto, mostra in modo impressionante lo scioglimento dei ghiacciai alpini, in particolare in Svizzera. Il riscaldamento globale, provocato dalle emissioni in eccesso di CO₂, è indicato come la causa principale, con ritmi di fusione ormai ben oltre le normali variazioni naturali. Anche se le temperature si stabilizzassero oggi, gran parte del ghiaccio continuerebbe comunque a sciogliersi a causa degli effetti ritardati del cambiamento climatico. Tuttavia, limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi potrebbe ancora salvare metà dei ghiacciai montani del pianeta.

GUGLIELMO MATTIOLI
Producer multimediale, ha contribuito a progetti innovativi usando realtà virtuale, fotogrammetria e live video per il New York Times. In una vita passata faceva l’architetto e molte delle storie che produce oggi riguardano l’ambiente costruito. Ha collaborato con testate come The New York Times, The Guardian e National Geographic. Nato e cresciuto a Genova, vive e lavora a New York da oltre dieci anni.

Grazie per aver letto fino a qui. Ci vediamo a dicembre, o prima con Lapilli+.

Se questa newsletter ti è stata inoltrata, per continuare a riceverla puoi iscriverti qui. Lapilli è distribuita gratuitamente, ma puoi sostenere la sua realizzazione destinando il tuo 5x1000 a Magma Aps (C.F. 96511280586) o con una piccola donazione (anche con bonifico intestato ad Associazione Magma APS, Iban: IT34B0623002812000030639558), grazie!

Lapilli è la newsletter che raccoglie ogni mese notizie e approfondimenti su ambiente e Mediterraneo apparsi sui media e selezionati da Magma.

Share this post